Fotogiornalismo e arte: flusso di coscienza per immagini di Giovanna Canzi

Dal giorno in cui ci siamo scoperti cittadini-prigionieri di quel “villaggio globale”, di cui parlò Marshall McLuhan, l’universo mediatico nelle sue molte declinazioni è sempre più terreno di indagine per artisti, studiosi, esperti di comunicazione. In una società (quella occidentale) in cui “fare la guerra” significa guardarla alla televisione come suggerisce Antonio Scurati nel saggio “Televisioni di guerra”, capire il ruolo e il valore che ha oggi l’immagine diventa prioritario. Se di fronte allo scorrere veloce, istantaneo, furioso dell’informazione proposta dai mass media, ci troviamo come anestetizzati e assuefatti, attraverso un processo di riappropriazione e di rielaborazione dell’immagine, possiamo cominciare nuovamente a pensare.

Così hanno fatto i sei artisti che, nella collettiva Immaginario contemporaneo, ci svelano quanto la nostra coscienza, soggetta a un flusso continuo di fotografie, sia ormai guidata da una serie di archetipi visivi, che interpretano la realtà. Curata da Barbara Fässler, artista svizzera che dal 1998 vive e lavora a Milano, l’esposizione, in mostra fino al 18 giugno presso la Galleria Bel Vedere, è il punto di partenza per infinite riflessioni. Da sempre interessato a esplorare la fotografia come medium, Thomas Ruff propone qui una selezione di Zeitungsfotos, lavoro di ricerca, volto a comprendere l’utilizzo e la funzione delle immagini nei giornali. Dopo aver collezionato un vastissimo materiale, l’artista tedesco decontestualizza le fotografie, le priva di didascalie e le ingrandisce in scala 4:I. Solo così, secondo Ruff, la foto, a cui è sottratta l’originale funzione informativa, diventa “opera d’arte”, un “Ready-Made duchampiano”, arricchito di una nuova dimensione estetica. La riflessione sul valore estetico dell’immagine è centrale anche nel lavoro di Gianluigi Colin, art director del «Corriere della Sera», abituato a confrontarsi quotidianamente con la caducità effimera dell’informazione. In I disastri della guerra Colin crea un ponte ideale fra passato e presente e, mettendo in relazione le incisioni di Francisco Goya con le immagini relative alla guerra in Iraq, inchioda il pubblico, rivelando come il dolore parli un unico e drammatico linguaggio. Davanti a questi dittici, osservando il parallelismo di visuali e contenuti (gli stessi gesti disperati e le identiche espressioni drammatiche nel volto di chi subisce una violenza) capiamo, come sottolinea Colin, che la storia non insegna nulla (“non è magistra di niente che ci riguardi” diceva Montale) e che è, anzi, un ciclo di interminabili soprusi. Anche Gabriele Di Matteo, artista che da anni esamina le modalità della pittura, servendosi della fotografia e del video, guarda a modelli artistici di ieri, per interpretare il presente. Così nell’opera 10/11, la trasposizione pittorica di una delle più drammatiche fotografie pubblicate all’indomani dell’11 settembre, possiamo intravedere, dietro all’impatto emotivo che l’immagine ancora trasmette, un aspetto estetico. Dipinta come una veduta del Canaletto, la “copia” della foto, da un lato si eleva allo stato di originale, dall’altro, poiché riprodotta in più esemplari, si inserisce nella riflessione postmoderna sull’unicità dell’opera d’arte. Sull’accelerazione esasperata dell’informazione riflette Giovanni Bai - sociologo, artista, editore, performer -, che sceglie il medium televisivo come terreno di ricerca e sperimentazione. La serie Saddam Hussein, costituita da venti videopitture stampate su tela, sfrutta i disturbi delle trasmissioni ed esaspera la fuggevolezza dei mezzi elettronici, per dimostrarci che la sete di informazione ci condurrà alla dissoluzione delle immagini e forse al silenzio assoluto. Ironico e pronto a sovvertire le gerarchie della nostra società, lo svizzero Ian Anüll propone una performance, in cui gioca con l’immagine e attribuisce un diverso valore alle cose, mentre Cesare Viel, con la serie Thank you Emily e Diario contemporaneo associa immagini e parole, dando vita a un’opera di rara poesia. Dopo essersi appropriato di uno scatto e averlo ridisegnato con un tratto leggero, gli dona un nuovo valore, attraverso l’uso della citazione. Ecco dunque che le parole di Emily Dickinson, Susan Sontag (bellissima la frase che riflette sulla soggettività della fotografia) e Virginia Woolf offrono un’inedita chiave di lettura, regalando all’immagine una veste poetica, carica di intensità.



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